𝐄𝐯𝐨𝐥𝐮𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐧𝐨𝐫𝐦𝐚𝐭𝐢𝐯𝐚
La tematica delle “aree idonee” all’installazione di impianti da fonti rinnovabili ha rappresentato negli ultimi anni uno dei nodi più complessi nel processo di transizione energetica del nostro Paese.
L’art. 20 del D.Lgs. 199/2021, attuativo della direttiva RED II (2018/2001/UE), ha introdotto un cambio di paradigma significativo: dall’approccio “𝑖𝑛 𝑛𝑒𝑔𝑎𝑡𝑖𝑣𝑜” basato sulle aree non idonee, si è passati a un sistema che richiede alle Regioni di individuare positivamente le aree in cui l’installazione di impianti FER può beneficiare di procedure autorizzative semplificate.
Questo nuovo approccio si inserisce nel più ampio quadro degli obiettivi europei di decarbonizzazione, che richiedono un’accelerazione significativa nello sviluppo delle energie rinnovabili.
Il decreto ministeriale del 21 giugno 2024 di attuazione ha poi definito i principi e i criteri per questa individuazione, assegnando alle Regioni obiettivi specifici di potenza da installare entro il 2030.
Le Regioni avrebbero dovuto adottare le proprie leggi di individuazione delle 𝐚𝐫𝐞𝐞 𝐢𝐝𝐨𝐧𝐞𝐞 entro il 31 dicembre 2024, ma il percorso si è rivelato più accidentato del previsto, come dimostra il caso della Regione Sardegna oggetto della recente pronuncia della Corte Costituzionale.
𝐀𝐫𝐞𝐞 𝐈𝐝𝐨𝐧𝐞𝐞 𝐑𝐞𝐠𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥𝐢: 𝐥𝐚 𝐂𝐨𝐫𝐭𝐞 𝐂𝐨𝐬𝐭𝐢𝐭𝐮𝐳𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥𝐞 𝐦𝐞𝐭𝐭𝐞 𝐮𝐧 𝐩𝐮𝐧𝐭𝐨 𝐟𝐞𝐫𝐦𝐨
La sentenza n. 28/2025 pubblicata l’11 marzo ’25 affronta un tema di grande attualità e rilevanza: il delicato equilibrio tra la tutela del paesaggio e lo sviluppo delle energie rinnovabili, con particolare riferimento ai limiti della potestà legislativa regionale in materia.
Come noto, il caso nasce dall’impugnazione da parte del Governo dell’art. 3 della legge della Regione Sardegna n. 5/2024, che aveva introdotto una moratoria di 18 mesi sulla realizzazione di nuovi impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili in determinate aree del territorio regionale, nelle more dell’approvazione della legge regionale di individuazione delle aree idonee.
La Corte, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale della norma impugnata, ha stabilito alcuni principi fondamentali che meritano di essere evidenziati:
𝟏) In primo luogo, la Consulta ha chiarito che 𝐪𝐮𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐮𝐧𝐚 𝐥𝐞𝐠𝐠𝐞 𝐫𝐞𝐠𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥𝐞, 𝐩𝐮𝐫 𝐩𝐞𝐫𝐬𝐞𝐠𝐮𝐞𝐧𝐝𝐨 𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚𝐥𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐟𝐢𝐧𝐚𝐥𝐢𝐭𝐚̀ 𝐝𝐢 𝐭𝐮𝐭𝐞𝐥𝐚 𝐩𝐚𝐞𝐬𝐚𝐠𝐠𝐢𝐬𝐭𝐢𝐜𝐚, 𝐢𝐧𝐜𝐢𝐝𝐞 𝐢𝐧 𝐦𝐨𝐝𝐨 𝐬𝐢𝐠𝐧𝐢𝐟𝐢𝐜𝐚𝐭𝐢𝐯𝐨 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐝𝐢𝐬𝐜𝐢𝐩𝐥𝐢𝐧𝐚 𝐝𝐞𝐠𝐥𝐢 𝐢𝐦𝐩𝐢𝐚𝐧𝐭𝐢 𝐝𝐢 𝐩𝐫𝐨𝐝𝐮𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐢 𝐞𝐧𝐞𝐫𝐠𝐢𝐚 𝐫𝐢𝐧𝐧𝐨𝐯𝐚𝐛𝐢𝐥𝐞, 𝐝𝐞𝐯𝐞 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐧𝐝𝐨𝐭𝐭𝐚 𝐩𝐫𝐞𝐯𝐚𝐥𝐞𝐧𝐭𝐞𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐞𝐭𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐢𝐧 𝐦𝐚𝐭𝐞𝐫𝐢𝐚 𝐞𝐧𝐞𝐫𝐠𝐞𝐭𝐢𝐜𝐚. Nel caso della Sardegna, si tratta della competenza statutaria concorrente in materia di “𝑝𝑟𝑜𝑑𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑒 𝑑𝑖𝑠𝑡𝑟𝑖𝑏𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙’𝑒𝑛𝑒𝑟𝑔𝑖𝑎 𝑒𝑙𝑒𝑡𝑡𝑟𝑖𝑐𝑎” secondo cui l’Ente territoriale aveva inteso arrogarsi la totale discrezionalità in merito alla tematica energetica.
𝟐) In secondo luogo, la Corte ha ribadito che 𝐥𝐞 𝐑𝐞𝐠𝐢𝐨𝐧𝐢, 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐚 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐮𝐭𝐨 𝐬𝐩𝐞𝐜𝐢𝐚𝐥𝐞, 𝐧𝐨𝐧 𝐩𝐨𝐬𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐢𝐧𝐭𝐫𝐨𝐝𝐮𝐫𝐫𝐞 𝐦𝐨𝐫𝐚𝐭𝐨𝐫𝐢𝐞 𝐨 𝐬𝐨𝐬𝐩𝐞𝐧𝐬𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐠𝐞𝐧𝐞𝐫𝐚𝐥𝐢𝐳𝐳𝐚𝐭𝐞 𝐝𝐞𝐢 𝐩𝐫𝐨𝐜𝐞𝐝𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐢 𝐚𝐮𝐭𝐨𝐫𝐢𝐳𝐳𝐚𝐭𝐢𝐯𝐢 𝐩𝐞𝐫 𝐠𝐥𝐢 𝐢𝐦𝐩𝐢𝐚𝐧𝐭𝐢 𝐚 𝐟𝐨𝐧𝐭𝐢 𝐫𝐢𝐧𝐧𝐨𝐯𝐚𝐛𝐢𝐥𝐢, 𝐧𝐞𝐦𝐦𝐞𝐧𝐨 𝐢𝐧 𝐯𝐢𝐚 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐨𝐫𝐚𝐧𝐞𝐚. Tali divieti si pongono infatti in contrasto con i principi fondamentali stabiliti dalla normativa statale (in particolare l’art. 20 del d.lgs. 199/2021) che mira ad accelerare la diffusione delle energie rinnovabili per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione fissati dall’Unione Europea.
La sentenza evidenzia inoltre come il legislatore nazionale abbia recentemente modificato l’approccio alla materia: mentre in passato si ragionava principalmente in termini di “𝑎𝑟𝑒𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑖𝑑𝑜𝑛𝑒𝑒”, oggi la normativa prevede che le Regioni individuino positivamente con legge le “𝑎𝑟𝑒𝑒 𝑖𝑑𝑜𝑛𝑒𝑒” all’installazione di impianti, seguendo criteri e principi stabiliti a livello statale.
Questo nuovo sistema mira a contemperare due esigenze: da un lato, 𝐠𝐚𝐫𝐚𝐧𝐭𝐢𝐫𝐞 𝐚𝐠𝐥𝐢 𝐨𝐩𝐞𝐫𝐚𝐭𝐨𝐫𝐢 𝐞𝐜𝐨𝐧𝐨𝐦𝐢𝐜𝐢 𝐜𝐞𝐫𝐭𝐞𝐳𝐳𝐚 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐞 𝐚𝐫𝐞𝐞 𝐢𝐧 𝐜𝐮𝐢 𝐞̀ 𝐩𝐨𝐬𝐬𝐢𝐛𝐢𝐥𝐞 𝐫𝐞𝐚𝐥𝐢𝐳𝐳𝐚𝐫𝐞 𝐠𝐥𝐢 𝐢𝐦𝐩𝐢𝐚𝐧𝐭𝐢 𝐜𝐨𝐧 𝐩𝐫𝐨𝐜𝐞𝐝𝐮𝐫𝐞 𝐬𝐞𝐦𝐩𝐥𝐢𝐟𝐢𝐜𝐚𝐭𝐞; 𝐝𝐚𝐥𝐥’𝐚𝐥𝐭𝐫𝐨, 𝐩𝐫𝐞𝐬𝐞𝐫𝐯𝐚𝐫𝐞 𝐥𝐞 𝐩𝐫𝐞𝐫𝐨𝐠𝐚𝐭𝐢𝐯𝐞 𝐫𝐞𝐠𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥𝐢 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐭𝐮𝐭𝐞𝐥𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐩𝐚𝐞𝐬𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨, 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐞𝐧𝐭𝐞𝐧𝐝𝐨 𝐚𝐥𝐥𝐞 𝐑𝐞𝐠𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐝𝐢 𝐬𝐞𝐥𝐞𝐳𝐢𝐨𝐧𝐚𝐫𝐞 𝐥𝐞 𝐚𝐫𝐞𝐞 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐚𝐩𝐩𝐫𝐨𝐩𝐫𝐢𝐚𝐭𝐞 𝐧𝐞𝐥 𝐫𝐢𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐠𝐥𝐢 𝐨𝐛𝐢𝐞𝐭𝐭𝐢𝐯𝐢 𝐦𝐢𝐧𝐢𝐦𝐢 𝐝𝐢 𝐩𝐫𝐨𝐝𝐮𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐟𝐢𝐬𝐬𝐚𝐭𝐢 𝐝𝐚𝐥𝐥𝐨 𝐒𝐭𝐚𝐭𝐨.
La pronuncia si inserisce nel solco di una giurisprudenza costituzionale ormai consolidata che considera il principio di 𝐦𝐚𝐬𝐬𝐢𝐦𝐚 𝐝𝐢𝐟𝐟𝐮𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐟𝐨𝐧𝐭𝐢 𝐝𝐢 𝐞𝐧𝐞𝐫𝐠𝐢𝐚 𝐫𝐢𝐧𝐧𝐨𝐯𝐚𝐛𝐢𝐥𝐞 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐞𝐬𝐩𝐫𝐞𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐢 𝐮𝐧𝐚 𝐧𝐨𝐫𝐦𝐚 𝐟𝐨𝐧𝐝𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐚𝐥𝐞 𝐝𝐢 𝐫𝐢𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚 𝐞𝐜𝐨𝐧𝐨𝐦𝐢𝐜𝐨-𝐬𝐨𝐜𝐢𝐚𝐥𝐞, vincolante anche per le Regioni a statuto speciale.
Tale principio può essere bilanciato con la tutela di altri interessi costituzionalmente rilevanti, come la protezione del paesaggio, ma non attraverso divieti generalizzati o moratorie che finiscono per ostacolare il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale ed energetica stabiliti a livello europeo e nazionale.
La decisione della Corte appare particolarmente significativa nel momento attuale, caratterizzato dalla necessità di accelerare la transizione energetica per contrastare i cambiamenti climatici. Essa conferma che le Regioni hanno un ruolo importante nella governance del settore energetico, ma devono esercitare le loro competenze in modo coerente con gli obiettivi di sviluppo sostenibile e decarbonizzazione dell’economia fissati a livello sovranazionale e nazionale.
𝐏𝐨𝐬𝐭 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐩𝐭𝐮𝐦
È quantomeno singolare notare che, mentre scriviamo questo commento nel marzo 2025, il termine del 31 dicembre 2024 per l’individuazione delle aree idonee sia ormai un ricordo sbiadito, senza che nessuno si sia preoccupato di affrontare la questione della sua scadenza.
La norma, è vero, prevede meccanismi sostitutivi in caso di inadempienza regionale, ma sembra che tutti stessero attendendo l’esito di questa pronuncia della Corte Costituzionale come una sorta di “𝑜𝑟𝑎𝑐𝑜𝑙𝑜 𝑒𝑛𝑒𝑟𝑔𝑒𝑡𝑖𝑐𝑜”.
Ora che la Consulta ha parlato con chiarezza cristallina, sarà interessante vedere se le Regioni inadempienti si affretteranno a fare i compiti a casa o se dovremo assistere all’ennesima puntata della saga “𝑝𝑟𝑜𝑟𝑜𝑔ℎ𝑒 𝑎𝑙𝑙’𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖𝑎𝑛𝑎”.
Nel frattempo, gli obiettivi di sostenibilità e decarbonizzazione non aspettano e il tempo, come sempre, corre più veloce delle nostre procedure giudiziarie ed amministrative.
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